SOLARIS: un viaggio fantastico alla scoperta di noi stessi
- Marco Zuccon
- 6 set
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 2 giorni fa
Psicologo Marco Zuccon - Psicologo Clinico

IL VIAGGIO PER STANISLAW LEW
"La verità, è che cerchiamo solo la gente. Non abbiamo bisogno di altri mondi, ma di specchi. Degli altri mondi non sappiamo che farcene, quello che abbiamo ci basta e avanza. Il fatto è che non arriviamo dalla terra come campioni di virtù o come monumenti dell'eroismo umano: ci portiamo dietro esattamente quello che siamo, e quando l'altra parte ci svela la nostra verità, il nostro lato nascosto, non riusciamo ad accettarla."
Esplorare l’ignoto è una costante nella storia dell’umanità. Da sempre, l’uomo si è spinto oltre i confini del proprio mondo conosciuto, incontrando realtà nuove e spesso incomprensibili.
Questi incontri hanno generato scambi, conflitti e trasformazioni profonde, contribuendo a modellare la società in cui viviamo oggi.
Oggi, nell’era digitale, il viaggio verso l’ignoto non avviene più per terra o per mare, ma attraverso uno schermo: in un istante possiamo entrare in contatto con culture, idee e visioni del mondo radicalmente diverse dalle nostre.
Ma cosa accadrebbe se potessimo osservare questi incontri con la precisione di uno scienziato in laboratorio? Quali rivelazioni emergerebbero, analizzando da vicino il momento in cui due mondi, così diversi, si trovano a condividere lo stesso spazio?
La prima reazione è un misto di curiosità e inquietudine: chi sono queste persone? Ma, più importante ancora, chi sono io nel confronto con loro? Questo viaggio simbolico attraverso i mondi fantastici di Stanislaw Lem rappresenta in realtà l’essenza della storia umana: non è solo un’esplorazione dell’altro, ma una profonda indagine su noi stessi.
Gli esseri umani cercano continuamente conferme di sé, anche quando si confrontano con ciò che è apparentemente diverso. Lo sguardo sull’altro non è mai neutro; è sempre filtrato dal nostro desiderio di definire chi siamo.
Un'analisi antropologica - Geertz e Said
Troviamo prove di questo nei lavori di Clifford Geertz, padre dell'antropologia interpretativa: "il nostro studio delle altre culture non è mai fine a sé stesso" sostiene, basandosi sui suoi studi. Quando cerchiamo di comprendere l'altro, lo facciamo anche per mettere a fuoco i confini e le possibilità della nostra esistenza.
L’esempio di un antropologo che studia la cerimonia funebre di una tribù remota può esserci d'aiuto. Ad un primo sguardo semplicistico può sembrare un tentativo di documentare l’esotico e la stranezza di queste persone, tuttavia Geertz ci ricorda che è proprio nel comprendere come un’altra cultura affronta la morte che iniziamo a riflettere sulle nostre paure, i nostri valori, il modo in cui trattiamo il nostro rapporto con il trascendente.
L’altro diventa uno specchio, un modo per mettere in discussione ciò che consideriamo normale.
Un'altra analisi raffinata sul problema proviene da Edward Said, il quale ci spinge a ragionare su come spesso la costruzione dell’altro è profondamente narcisistica. Le sue conclusioni provengono dalla valutazione di come l’occidente avesse costruito una visione dell’Oriente non organizzata secondo un paradigma di categorizzazione utile a definire le caratteristiche dell'altro. Lo aveva fatto per rafforzare la propria identità, in quel caso come razionale, avanzato e superiore.
Questa dinamica non è solo un tratto del passato: l’altro è utilizzato per definire i confini della propria identità e rafforzare la propria valutazione di sé.
Questa riflessione è quindi più urgente che mai. Viviamo in un’epoca di globalizzazione, ma anche di frammentazione culturale. Gli incontri con l’altro avvengono quotidianamente attraverso i social media, i viaggi, la migrazione. Tuttavia, questi incontri non sempre portano comprensione, e una delle cause è individuabile nella nostra tendenza a leggere nell’altro solo ciò che vogliamo vedere: una conferma dei nostri pregiudizi, oppure un ideale di cui possiamo appropriarci per compensare le nostre mancanze.
Vogliamo davvero conoscere altri mondi, o stiamo semplicemente cercando un riflesso più comodo di noi stessi?
La vera conoscenza dell’altro non è mai facile, perché richiede di abbattere i nostri specchi e accettare che l’alterità è una sfida alla nostra identità, non una sua conferma. L'altro non potrà mai risolvere ciò che percepiamo come mancanza, e solo noi possiamo imparare a conviverci per migliorare la nostra vita.
Lo specchio dell'altro - Freud e Jung
In psicologia si tende a definire come proiezione un processo mentale attraverso il quale una persona attribuisce a qualcun altro sentimenti, desideri o aspetti di sé che non riesce a riconoscere o accettare. In questo modo ciò che proviene dall'interno dell'individuo viene percepito come proveniente dall'esterno, e ce ne si libera. Sigmund Freud, che per primo descriveva questo meccanismo, lo definisce come un meccanismo di difesa, un modo quindi che la persona ha per espellere dall’io desideri, emozioni o tratti che non possiamo accettare.
Tuttavia, quando lo specchio diventa troppo chiaro—quando la proiezione non funziona più—ci troviamo di fronte a ciò che un altro grande psicoanalista chiamava “ombra”. Questo psicoanalista si chiama Jung e l’ombra è la parte inconscia di noi stessi, composta da tutti gli aspetti che reprimiamo perché consideriamo inaccettabili. Jung credeva che confrontarsi con l’ombra fosse essenziale per la crescita personale, ma avvertiva anche che questo processo era profondamente doloroso.
Risulta più facile quindi proiettare le nostre paure sugli altri mondi che affrontare ciò che questi mondi ci mostrano di noi stessi. Un esempio quotidiano di questa dinamica è il conflitto nelle relazioni. Spesso litighiamo con il partner non per ciò che hanno fatto, ma per ciò che ci fanno sentire: insicurezze, paure, desideri che emergono quando siamo vulnerabili. L’uomo moderno preferisce le "illusioni necessarie" perché affrontare la verità significherebbe mettere in crisi la propria identità. E qui entra in gioco l’altro. lo “sguardo dell’altro” è una forza capace di smascherarci, rivelandoci aspetti di noi stessi che preferiremmo ignorare.
In un mondo dove siamo costantemente confrontati con le versioni migliori e più curate degli altri, la nostra ombra diventa ancora più difficile da accettare. Ma è proprio in questa difficoltà che si nasconde un’opportunità: accettare il nostro lato oscuro significa anche recuperare energia psichica, autenticità, e la capacità di connessione profonda con gli altri.
Alla fine, la domanda non è se possiamo sfuggire al nostro lato nascosto, ma come possiamo imparare a vederlo come parte di noi stessi, piuttosto che come un nemico.
Cercare altri mondi, o altre verità, non serve a nulla se non siamo disposti a confrontarci con ciò che essi rivelano di noi stessi.
Forse è questo il messaggio finale della citazione:
"Gli specchi non sono lì per punirci, ma per aiutarci a diventare la versione migliore di noi stessi."
Psicologo Marco Zuccon - Psicologo online e in presenza.


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