Adolescenza: il tempo sospeso della trasformazione
- Marco Zuccon
- 4 ago
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 2 giorni fa

Un passaggio non lineare
L’adolescenza è spesso narrata come un periodo tempestoso, confuso e difficile da gestire: una fase in cui il giovane sembra “sregolato”, instabile, incostante, ora euforico e ora depresso, ora entusiasta e ora apatico. Eppure questa visione, pur non del tutto errata, è riduttiva. Non coglie la natura più profonda del passaggio che l’adolescente sta attraversando: un processo di transizione, segnato da perdita, ristrutturazione interna e riscoperta di sé.
Perdita e mutamento: la struttura del cambiamento
Diventare adulti non è semplicemente “aggiungere” nuove competenze, ma lasciare andare una parte di sé. Il passaggio dall’infanzia all’età adulta implica una frattura: l’identità del bambino va elaborata, trasformata, integrata nel nuovo sé che sta emergendo. È un processo simile al lutto: si lascia indietro qualcosa di noto, per quanto limitante potesse essere, e si entra in una dimensione ignota e spesso ansiogena.
Come sottolineava Ellen Noonan, “il processo adolescenziale è tanto segnato dal lutto quanto dalla conquista”. La fine dell’infanzia è una perdita reale, benché non definitiva, e come ogni perdita comporta sentimenti di nostalgia, ambivalenza, confusione.
L’instabilità come funzione evolutiva
Crisi, sbalzi d’umore, ribellioni e apparente disinteresse non sono segnali di anomalia, ma espressioni sane di un’identità in via di ricostruzione. Il giovane è chiamato a rielaborare la propria immagine corporea, le relazioni familiari, la sessualità, i rapporti con i coetanei, la visione del futuro. Ogni ambito di vita viene messo in discussione e riscritto, spesso con esiti provvisori, contraddittori e imperfetti.
Non possiamo chiedere all’adolescente di essere “coerente” in senso adulto: la sua coerenza si gioca nel tentativo sincero di attraversare la propria incoerenza.
Il conflitto con il passato
Come nel lutto, anche nell’adolescenza vi è un continuo oscillare tra il desiderio di trattenere il passato e la spinta verso la novità. Questo spiega perché il giovane può comportarsi in modo regressivo, richiedendo protezione, e il momento dopo agire in modo trasgressivo, rifiutando ogni vincolo.
Nel mezzo, vi è una domanda silenziosa: “Chi sono io, ora che non sono più un bambino, ma non ancora un adulto?”
Il ruolo dell’adulto: sostenere senza invadere
Molti genitori o adulti significativi si sentono smarriti davanti all’adolescente: il figlio “docile” è diventato critico, distante, provocatorio. In questa fase è fondamentale accettare il conflitto come parte integrante della crescita. Non è una guerra personale, ma una lotta simbolica per l’autodefinizione.
Il compito dell’adulto non è né quello di “guidare” né quello di “lasciare fare”, ma di essere una presenza stabile, capace di tollerare il caos senza fuggire né reagire impulsivamente. L’adolescente ha bisogno di essere contenuto, non controllato.
Oltre la tempesta: uno spazio di riorganizzazione
L’adolescenza non è un “problema da risolvere”, ma un passaggio da accompagnare. Se vissuta con sufficiente libertà e contenimento, può diventare uno dei periodi più fertili della vita: è lì che si iniziano a costruire i valori personali, il progetto di vita, la visione del mondo.
Come il lutto, l’adolescenza permette una rielaborazione profonda: ciò che si perde viene interiorizzato in una forma nuova. Il bambino non viene cancellato: vive nella creatività, nella sensibilità, nella capacità di stupore dell’adulto che l’adolescente diventerà.
E quindi?
Parlare di adolescenza significa parlare di trasformazione, ma anche di fragilità. Non si cresce “in automatico”: ogni soggetto ha i suoi tempi, le sue resistenze, le sue ferite. In uno spazio terapeutico, questi aspetti possono essere osservati, riconosciuti e integrati.
La crescita non è mai lineare. Ma se accompagnata con ascolto e rispetto, può diventare un processo vitale di riappropriazione di sé.
Psicologo Marco Zuccon - Psicologo online e in presenza.




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